Gli spazi (assurdi) dell'aula tradizionale

Categoria: Tendenze
Creato: Giovedì, 14 Settembre 2017 20:47

aula tradizionaleNell'eccezionale libro di Marco Orsi A scuola senza zaino: Il metodo del curricolo globale per una didattica innovativa, c'è uno splendido brano in cui con lucidità l'autore denuncia gli asettici e castranti spazi della scuola tradizionale.
Eccone un sunto.
L’antropologo Marc Augé (1993) parla in proposito dei non-luoghi riferendosi a quegli spazi asettici, privi di valore identitario, per cui a qualsiasi latitudine appaiono nello stesso modo facendo sì che l’atteggiamento di coloro che vi si trovano sia contrassegnato dall’idea dello starci il meno possibile.
Nella scuola tanto i ragazzi quanto gli insegnanti non vogliono starci troppo. Tutti sono in attesa del fatidico suono della campanella.
Conoscere il mondo significa renderlo ospitale, vicino, luogo identitario, spazio con connotazioni affettive ed emotive, luogo in cui riconosco la possibilità di essere riconosciuto come persona.
La tradizionale aula scolastica è strutturata invece molto diversamente: freddi banchi monoposto di acciaio e formica, dotati di scomode sedie, tutti separati l’uno dall’altro in file ben allineate di fronte a una cattedra. È, come molti hanno notato, una disposizione strutturalmente non comunicativa: ogni studente, per 4-6 ore al giorno, vede la schiena di un suo coetaneo che sta seduto davanti. Con il compagno accanto sono perlopiù proibiti gli scambi. Così diventa imbarazzante, anche se non può essere elusa, l’analisi di Foucault che ha studiato il sorgere della scuola moderna mettendo in evidenza come essa abbia origine nel disegno del carcere di Bentham, il Panopticon, ovvero una struttura ben congegnata per sorvegliare, controllare, trasmettere ordini, impedire le relazioni tra i detenuti
aula innovativa senza zainoMalgrado le buone intenzioni di molti, finisce per dominare creando la dipendenza degli studenti dagli insegnanti. Ne è riprova il fatto che da soli gli allievi sono in balia di se stessi, fanno confusione, producono il caos: è ciò che accade quando momentaneamente l’insegnante deve lasciare la classe che, nel gergo scolastico, si dice che è «scoperta».
Si prenda la valutazione: i ragazzi studiano per prendere buoni voti o perché sono davvero coinvolti e interessati al sapere? Studiano, in altri termini, per far piacere agli adulti (genitori e docenti), per rincorrere la loro approvazione, per non disattendere le loro aspettative, per primeggiare tra i compagni, o perché trovano nell’esperienza del conoscere motivi che li portano a scoprire una dimensione autentica di confronto con la conoscenza del mondo, di applicazione agli «oggetti culturali».
La pedagogia trasmissiva si lega a un approccio metodologico standardizzato, ove vige la regola di un’attività proposta a tutta la classe, nel medesimo tempo, utilizzando le stesse modalità e aspettandosi le stesse risposte, una pratica professionale che si avvale di modelli rigidi di progettazione didattica improntati all’attenzione ossessiva verso la costruzione degli obiettivi, dai quali si fanno automaticamente discendere determinate attività, l’utilizzo di certi strumenti, per cui ci si aspetta e si lavora in vista di un’assoluta identità tra gli obiettivi e i risultati.